Alcoldipendenza. Caratteristiche, gestione cura e prevenzione
L'incontro aperto vuole offrire strumenti di corretta informazione, al fine di sensibilizzare i partecipanti sui meccanismi ed i rischi legati all'uso problematico, all'abuso e dipendenza da alcol, in termini bio - psico - sociali, con particolare attenzione al prezioso lavoro di cura ed assistenza dei familiari (caregivers), a forte rischio di stress (burned). All'uopo, verrà presentato il Progetto "SoS Famiglia": ciclo di incontri psicoeducativi di gruppo per caregivers familiari di persone alcoldipendenti, che prenderà avvio da gennaio 2017.
Sede dell'incontro: Studio Daimon, Via B. Croce 1/A, 61032 Fano (PU)
Per info: Dott.ssa Francesca Carubbi, psicologa - psicoterapeuta. Tel: 338/4810340
martedì 29 novembre 2016
martedì 6 settembre 2016
alcol e comorbilità
Con il termine di comorbilità o "doppia diagnosi" si indica la concomitanza di abuso o dipendenza da sostanze psicotrope e un disturbo psichiatrico, come ad es. ansia, depressioni o psicosi. Nello specifico, l'organizzazione Mondiale della Sanità (1995), definisce la doppia diagnosi come "la coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo dovuto all'uso di sostanze psicoattive e di un altro disturbo psichiatrico". In tal senso, si suole suddividere tre tipologie di comorbilità:
1. La sostanza precede, causa o slatentizza una sintomatologia psichiatrica (ad es. l'alcol può scatenare una sintomatologia depressiva);
2. La sostanza viene utilizzata per sedare una sintomatologia preesistente (ad es. l'alcol viene utilizzato per sedare sintomi ansiosi);
3. L'abuso o dipendenza e il disturbo psichiatrico sono due entità diagnostiche separate ma coesistenti.
Ma quali sono i disturbi psicopatologici più frequenti, associati alla dipendenza patologica? Uno studio del 2004, pubblicato dall'Osservatorio Europeo delle Droghe (www.emcdda.europa.eu), ha mostrato come circa il 50 - 90% della popolazione tossicodipendente soffrisse, già all'epoca, di disturbi della personalità (ex Asse II del DSM IV), soprattutto Antisociale e Borderline, seguiti da psicopatologie di carattere depressivo e ansioso (20 - 60%) ed un restante 15 - 20% rappresentato da disturbi psicotici (ex Asse I del DSM IV). Da qui, tuttavia, non è semplice distinguere la priorità sintomatologica delle due forme psicopatologiche: una persona con problematiche di alcol e disturbo ansioso, ad esempio, potrebbe utilizzare la sostanza come automedicazione psicologica (self - medication), per sedare, appunto, la tensione e lo stress, eventuali episodi di attacchi di panico o pensieri intrusivi come rimuginazioni ossessive. Oppure la sostanza alcolica, sempre in questa stessa persona, potrebbe aver preceduto, slatentizzato o causato una sintomatologia ansiosa, indotta dall'intossicazione acuta o cronica e dalle crisi di astinenza, piuttosto che soffrire di forme psicopatologiche coesistenti ma parallele.
Nello specifico, per ciò che concerne la dipendenza da alcol, Janiri e Guglielmo (2008) ci informano che 1/3 di persone con disturbi psichiatrici può incorrere in una dipendenza da alcol e che circa i 3/4 di soggetti alcolisti presenta una psicopatologia concomitante (www.lapromessa.org). Non dimentichiamo, inoltre, come l'abuso di alcol sia associato, non solo ad ansia e depressione, ma anche a disturbi traumatici (PTSD) ed a distress.
Il concetto di "doppia diagnosi" è importante poiché, come abbiamo visto, l'abuso psicotropo e psicopatologia vanno, sovente, di pari passo (circa un paziente su due). Da qui, si può ben immaginare come una corretta diagnosi differenziale, svolta da personale aggiornato e qualificato seppur difficoltosa e altamente complessa, sia il presupposto di un'efficace presa in cura del soggetto, non parcellizzata ed approssimativa, ma specifica e, allo stesso tempo, integrata da un collaborativo lavoro di Rete, pubblico e privato.
1. La sostanza precede, causa o slatentizza una sintomatologia psichiatrica (ad es. l'alcol può scatenare una sintomatologia depressiva);
2. La sostanza viene utilizzata per sedare una sintomatologia preesistente (ad es. l'alcol viene utilizzato per sedare sintomi ansiosi);
3. L'abuso o dipendenza e il disturbo psichiatrico sono due entità diagnostiche separate ma coesistenti.
Ma quali sono i disturbi psicopatologici più frequenti, associati alla dipendenza patologica? Uno studio del 2004, pubblicato dall'Osservatorio Europeo delle Droghe (www.emcdda.europa.eu), ha mostrato come circa il 50 - 90% della popolazione tossicodipendente soffrisse, già all'epoca, di disturbi della personalità (ex Asse II del DSM IV), soprattutto Antisociale e Borderline, seguiti da psicopatologie di carattere depressivo e ansioso (20 - 60%) ed un restante 15 - 20% rappresentato da disturbi psicotici (ex Asse I del DSM IV). Da qui, tuttavia, non è semplice distinguere la priorità sintomatologica delle due forme psicopatologiche: una persona con problematiche di alcol e disturbo ansioso, ad esempio, potrebbe utilizzare la sostanza come automedicazione psicologica (self - medication), per sedare, appunto, la tensione e lo stress, eventuali episodi di attacchi di panico o pensieri intrusivi come rimuginazioni ossessive. Oppure la sostanza alcolica, sempre in questa stessa persona, potrebbe aver preceduto, slatentizzato o causato una sintomatologia ansiosa, indotta dall'intossicazione acuta o cronica e dalle crisi di astinenza, piuttosto che soffrire di forme psicopatologiche coesistenti ma parallele.
Nello specifico, per ciò che concerne la dipendenza da alcol, Janiri e Guglielmo (2008) ci informano che 1/3 di persone con disturbi psichiatrici può incorrere in una dipendenza da alcol e che circa i 3/4 di soggetti alcolisti presenta una psicopatologia concomitante (www.lapromessa.org). Non dimentichiamo, inoltre, come l'abuso di alcol sia associato, non solo ad ansia e depressione, ma anche a disturbi traumatici (PTSD) ed a distress.
Il concetto di "doppia diagnosi" è importante poiché, come abbiamo visto, l'abuso psicotropo e psicopatologia vanno, sovente, di pari passo (circa un paziente su due). Da qui, si può ben immaginare come una corretta diagnosi differenziale, svolta da personale aggiornato e qualificato seppur difficoltosa e altamente complessa, sia il presupposto di un'efficace presa in cura del soggetto, non parcellizzata ed approssimativa, ma specifica e, allo stesso tempo, integrata da un collaborativo lavoro di Rete, pubblico e privato.
giovedì 1 settembre 2016
Alcol e prevenzione
Interessante articolo tratto da: Ce. S.D.A. (Centro Studi, Ricerca e Documentazione su Dipendenze e Aids), Firenze
Alcol, prevenzione cardiovascolare e cancro
Alcol, prevenzione cardiovascolare e cancro
Gianni Testino, Silvia Leone, Valentino Patussi, Emanuele Scafato
Il Pensiero Scientifico Editore Apr 2014
Alcol, prevenzione cardiovascolare e cancro
Alcol, prevenzione cardiovascolare e cancro
Gianni Testino, Silvia Leone, Valentino Patussi, Emanuele Scafato
Il Pensiero Scientifico Editore Apr 2014
martedì 9 agosto 2016
Vergogna, una degna emozione che fa ancora paura
"Dove 'è paura è anche vergogna"
Platone
Vergogna. Credo che sia una delle emozioni più dolorose, antipatiche e scomode che possiamo vivere. Infatti, spesso la vergogna non viene correttamente simbolizzata, ma interecettata prima che diventi consapevole. O, almeno crediamo. Sì, perché, per quanto ci sforziamo di negarla, di rimuoverla, di sentirci immuni da questo vissuto, il nostro organismo, molto più saggio di noi, la sente profondamente e la mostra agli occhi esterni senza il nostro permesso. Come? Attraverso il rossore, la voce bassa e tremula, il capo chino e lo sguardo basso o schivo, il sudore nelle mani, la sensazione di vacillare, di cadere a causa delle gambe molli e prive di forza, le spalle curve. Se ci pensiamo, la postura sembra quella di una resa, di un senso di sconfitta: è la poa di colui che sente di essere stato trafitto. Come tramortito. Carotenuto ci informa come il vissuto della vergogna produca la tormentosa sensazione di essere in balia dello sguardo dell'altro, di essere esposti al pubblico ludibrio, senza potersi difendere. Vergognarsi, per qualcuno, significa sentirsi sotto scacco, impotenti. Si vorrebbe fuggire, sparire dalla faccia della terra, mettere la testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi. Sentire tutto questo fa paura. Si ha paura di perdere la faccia, di fare figuracce, di non essere all'altezza, di non essere abbastanza. Quando ci vergogniamo non accettiamo i nostri limiti. O. più precisamente, ci vergogniamo perché non accettiamo le nostre mancanze, le nostre fragilità, le nostre défaillances, la nostra umanità, per natura fallibile ed imperfetta. Ci vergogniamo della nostra vergogna. Così le critiche, le opinioni altrui ci terrorizzano: l'altro ha il potere di dirmi non solo cosa ho fatto di giusto o sbagliato, ma se sono giusto o sbagliato. Ed in questo la vergogna si differenzia dal senso di colpa: se il senso di colpa permette una futura riparazione dell'errore, la vergogna non ammette sbagli: lo sbaglio ed il sé della persona sono un tutt'uno. Chi commette errori, allora, non può apprendere da essi, in quanto questi sono l'espressione di un sé globalmente ed irrimediabilmente difettoso. Chi non riesce ad accettare la vergogna come parte di sé, come qualsiasi altra emozione indispensabile per la propria crescita, tende a non avere fiducia nel proprio processo di valutazione interno, tende a demandare la responsabilità delle proprie azioni agli altri, tende a procrastinare, a bloccarsi. Ad inibire l'espressione autentica delle proprie emozioni, soprattutto di paura e rabbia. Tende ad essere dipendente dal giudizio altrui, dall'ambiente circostante: "Faccio bene? Faccio male? Se faccio questo, cosa penseranno di me?. Ed è proprio questa dipendenza dal giudizio dell'altro, dalla sua considerazione che fa sì che la persona si impegni ad evitare situazioni per lui narcisisticamente minacciose, che potrebbero minare il proprio valore, che potrebbero coglierlo in fallo, che potrebbero farlo sentire profondamente impaurito o arrabbiato (rabbia che, come la paura, non può essere accettata), anche con l'aiuto illusorio di sostanze psicotrope come l'alcol. Non a caso, nella mia pratica clinica, l'esplorazione sintomatica, del suo significato soggettivo ed umano, ha fatto emergere come l'alcol servisse per sedare il laceramento interiore che la vergogna produceva come un tarlo: in quei contesti, l'alcol rappresentava l'unica, seppur illusoria, modalità di protezione del soggetto da tutte le sensazioni dolorose che provenivano dal proprio organismo: l'unica stampella per sopravvivere, per accrescersi e svilupparsi nonostante il dolore e senso di inadeguatezza . Una precaria, zoppicante ed incerta Tendenza Attualizzante (Borgioni, 2007; Carubbi, 2016). Allora, perché non offrire una calda casa a questa emozione? Perché non adottarla? Perché rifiutarla? Perché non accettare che siamo anche questo? La vergogna, se adattiva, consapevole e non paralizzante, ha anche un alto valore sociale e umano: chi è consapevole e chi ha provato vergogna, difficilmente farà provare lo stesso ad un altro individuo, donando alla vergogna un significato profondamente altruistico. La vergogna, quindi, ha a che fare anche con la riservatezza ed il rispetto. Accettare la vergogna significa godere di un sano narcisismo, caratterizzato da buona autostima e consapevolezza autentica dei propri limiti e capacità
E non sono cose da poco
sabato 23 luglio 2016
Dipendenza... che cosa le definisce come patologica?
Iniziamo, innanzitutto, da un equivoco in cui è facile inciampare: la dipendenza, di per sé, non è patologica. Anzi! Autori come, ad esempio, Spitz e
Bowlby (1969) ci informano come solo una base affettiva sicura, fiduciosa e amorevole per il bambino sia il presupposto della costruzione di relazioni mature, ovvero contraddistinte dalla capacità della persona di avvicinarsi e separarsi dall'Altro, in primis dalle proprie figure di accudimento, e di esplorare l'ambiente che lo circonda, aprendosi all'esperienza, all'incognita esistenziale, a ciò che non conosce, senza perdersi in angosce e paure paralizzanti, ma percependo ogni occasione una fonte importante di apprendimento e di crescita. In concreto, provate a pensare ad un bambino che impara, pian piano, a camminare. Cosa succede? Incespica, cade, piange, si arrabbia, si può sentire frustrato, perché per imparare occorre fatica, pazienza ed impegno. Se al bambino trasmettiamo fiducia che ce la farà, vedremo che proverà molta soddisfazione nel raggiungimento dei propri obiettivi, della propria autonomia. Ma cosa succede se, al contrario, come genitori tendiamo ad iperproteggerlo, affinché non si faccia male? O al contrario tendiamo a lasciarlo troppo solo nel suo processo di apprendimento, senza una base affettiva a cui può rivolgersi nel caso di troppo dolore e confusione? Se, come sostiene Rogers (1951), l'ambiente non è empatico, autentico e profondamente accettante dei bisogni del bambino, questi impara presto a comprendere che ciò che prova (nel nostro esempio, il bambino potrebbe percepire la propria fiducia, la propria spinta verso una sana autonomia come un qualcosa di profondamente sbagliato, in quanto andrebbe contro a ciò che pensa il genitore, piuttosto che iniziare a distorcere che la dipendenza, il bisogno dell'altro nei momenti di scoramento e paura, è una cosa di cui vergognarsi) non è accettato dalle sue figure di riferimento emotivo. Da qui, per non perdere la considerazione e l'amore genitoriali, il bimbo inizia ad intercettare e distorcere i suoi veri e più autentici bisogni, per far propri quelli altrui, inibendo, in tal modo, aspetti vitali della propria personalità. Tal premessa è importante per comprendere come la dipendenza patologica sia caratterizzata, da un punto di vista fenomenico, dalla difficoltà del soggetto di modulare la presenza ed assenza dell'oggetto, ossia di porsi in un equilibrato movimento di distanza e vicinanza emotive e relazionali con questo. Infatti, che cosa intendiamo con dipendenza patologica? La dipendenza patologica è un rapporto profondamente squilibrato con una data sostanza, un dato comportamento o una data persona. Al di là dell'oggetto prescelto e della declinazione soggettiva del sintomo, l'atteggiamento patologico o addiction si configura per la ricerca compulsiva e continuativa dell'oggetto che causa dipendenza (craving) e dalla presenza dei fenomeni di astinenza, causati dalla sua assenza, e di tolleranza (bisogno sempre maggiore dell'uso, della messa in atto del comportamento o della ricerca e del controllo nella relazione con un'altra persona). In soldoni, ciò che differenzia una sana dipendenza da una malata è l'esclusività con l'oggetto scelto, ossia quando questi diviene, da fonte illusoria di piacere e di sedazione di sofferenza, il fulcro vitale dell'individuo, una stampella di sopravvivenza, cronica e recidivante, con cui affrontare ogni aspetto della vita. Nel nostro esempio, un cuscino posto perennemente dietro la schiena del bambino, affinché non si faccia male. Ovvero, non si può vivere senza quello.
Bowlby (1969) ci informano come solo una base affettiva sicura, fiduciosa e amorevole per il bambino sia il presupposto della costruzione di relazioni mature, ovvero contraddistinte dalla capacità della persona di avvicinarsi e separarsi dall'Altro, in primis dalle proprie figure di accudimento, e di esplorare l'ambiente che lo circonda, aprendosi all'esperienza, all'incognita esistenziale, a ciò che non conosce, senza perdersi in angosce e paure paralizzanti, ma percependo ogni occasione una fonte importante di apprendimento e di crescita. In concreto, provate a pensare ad un bambino che impara, pian piano, a camminare. Cosa succede? Incespica, cade, piange, si arrabbia, si può sentire frustrato, perché per imparare occorre fatica, pazienza ed impegno. Se al bambino trasmettiamo fiducia che ce la farà, vedremo che proverà molta soddisfazione nel raggiungimento dei propri obiettivi, della propria autonomia. Ma cosa succede se, al contrario, come genitori tendiamo ad iperproteggerlo, affinché non si faccia male? O al contrario tendiamo a lasciarlo troppo solo nel suo processo di apprendimento, senza una base affettiva a cui può rivolgersi nel caso di troppo dolore e confusione? Se, come sostiene Rogers (1951), l'ambiente non è empatico, autentico e profondamente accettante dei bisogni del bambino, questi impara presto a comprendere che ciò che prova (nel nostro esempio, il bambino potrebbe percepire la propria fiducia, la propria spinta verso una sana autonomia come un qualcosa di profondamente sbagliato, in quanto andrebbe contro a ciò che pensa il genitore, piuttosto che iniziare a distorcere che la dipendenza, il bisogno dell'altro nei momenti di scoramento e paura, è una cosa di cui vergognarsi) non è accettato dalle sue figure di riferimento emotivo. Da qui, per non perdere la considerazione e l'amore genitoriali, il bimbo inizia ad intercettare e distorcere i suoi veri e più autentici bisogni, per far propri quelli altrui, inibendo, in tal modo, aspetti vitali della propria personalità. Tal premessa è importante per comprendere come la dipendenza patologica sia caratterizzata, da un punto di vista fenomenico, dalla difficoltà del soggetto di modulare la presenza ed assenza dell'oggetto, ossia di porsi in un equilibrato movimento di distanza e vicinanza emotive e relazionali con questo. Infatti, che cosa intendiamo con dipendenza patologica? La dipendenza patologica è un rapporto profondamente squilibrato con una data sostanza, un dato comportamento o una data persona. Al di là dell'oggetto prescelto e della declinazione soggettiva del sintomo, l'atteggiamento patologico o addiction si configura per la ricerca compulsiva e continuativa dell'oggetto che causa dipendenza (craving) e dalla presenza dei fenomeni di astinenza, causati dalla sua assenza, e di tolleranza (bisogno sempre maggiore dell'uso, della messa in atto del comportamento o della ricerca e del controllo nella relazione con un'altra persona). In soldoni, ciò che differenzia una sana dipendenza da una malata è l'esclusività con l'oggetto scelto, ossia quando questi diviene, da fonte illusoria di piacere e di sedazione di sofferenza, il fulcro vitale dell'individuo, una stampella di sopravvivenza, cronica e recidivante, con cui affrontare ogni aspetto della vita. Nel nostro esempio, un cuscino posto perennemente dietro la schiena del bambino, affinché non si faccia male. Ovvero, non si può vivere senza quello.
mercoledì 1 giugno 2016
giovedì 12 maggio 2016
mercoledì 20 aprile 2016
venerdì 8 aprile 2016
lunedì 4 aprile 2016
domenica 3 aprile 2016
Linee guida per il trattamento farmacologico e psicosociale per la dipendenza da oppiacei
Importante documento, promosso da OMS (2009) (edizione italiana a cura di ISS - Istituto Superiore di Sanità). Perché interessarsi di metadone & co. se siamo psicologi? Perché la letteratura ci informa dell'importanza e dell'efficacia, nel campo della tossicodipendenza, di un approccio integrato terapeutico - riabilitativo in un'ottica bio - psico - sociale e, da qui, il ruolo dello psicologo è anche quello di facilitare, all'interno di un percorso di sostegno, di psicoterapia, nonché di counseling motivazionale al cambiamento, in collaborazione con i propri referenti medici, la compliance al trattamento farmacologico, quando risulta essere necessario. Non dimentichiamo, infatti, che la dipendenza da oppiacei è anche una condizione non solo psico - sociale, bensì medica, in quanto provoca importanti alterazioni neurologiche
Importante documento, promosso da OMS (2009) (edizione italiana a cura di ISS - Istituto Superiore di Sanità). Perché interessarsi di metadone & co. se siamo psicologi? Perché la letteratura ci informa dell'importanza e dell'efficacia, nel campo della tossicodipendenza, di un approccio integrato terapeutico - riabilitativo in un'ottica bio - psico - sociale e, da qui, il ruolo dello psicologo è anche quello di facilitare, all'interno di un percorso di sostegno, di psicoterapia, nonché di counseling motivazionale al cambiamento, in collaborazione con i propri referenti medici, la compliance al trattamento farmacologico, quando risulta essere necessario. Non dimentichiamo, infatti, che la dipendenza da oppiacei è anche una condizione non solo psico - sociale, bensì medica, in quanto provoca importanti alterazioni neurologiche
La presa in carico della persona con dipendenza patologica
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